Enzo Rava

Alibi

Scendendo per la via Trionfale (l'antica strada per la quale legioni trionfanti e romei penitenti guadagnavano Roma) arrivato a largo Irpinia, fece un lento giro dei giardinetti osservando quanti sedevano sulle panchine; non molti data l’ora meridiana, un paio di extracomunitari che si sfamavano con un panino, una signora che intensamente sorvegliava il ragazzino che giocava solitario sulle giostre, un uomo in grigio dai capelli grigi che leggeva un 'quotidiano gratis’); raggiunse l'entrata della banca IntesaSanPaolo donde usci poco dopo, fece il giro contrario della piazzetta, quando fu alle spalle dell'anziano sollevò il giornale ripiegato col quale aveva coperto il borsello, trasse la 6,35 con silenziatore e sparò alla nuca dell’uomo, più esattamente nella cervicale che quello ripiegò il capo e restò seduto immobile. Solo alcune ore dopo una coppia che aveva fatto acquisti per la cena al ‘Felici Alimentari’, si avvicinò ad osservare meglio quel tale, che già stava calando il crepuscolo e magari s'era addormentato; quando lo scossero un poco per una spalla quello lentamente scivolò a sdraiarsi sul sedile. Mai al commissariato di Belsito s'erano trovati di fronte ad un caso come quello: rapinucce di nordafricani, liti coniugali, un paio di omicidi sì ma uno per patente vendetta l'altro patentemente per interessi - ma così, un pensionato al minimo che sopravvive in un asilo di suore (la collina abbonda di conventi, anche se alcuni trasformati in cliniche od alberghi), fortunosamente sopravvissuto a quanti conosceva, che solo di vista è noto al benzinaio e al frutta-e-verdura, un caso così che proprio non sai da dove cominciare, che neanche incuriosisce i giornali che di ben altri crimini, governativi i più si stanno occupando, un caso così proprio non doveva capitare al dottor Martucci, in vigilia di trasferimento, finalmente, nella città d'origine, balneare e ben ordinata, mica come questa. Il poveretto, le suore comboniane he lo avevano ospitato, vitto e alloggio in compenso di guardiania e lavori di giardinaggio, idraulica, elettricità, spostamento di mobili e carichi pesanti) risultarono quelle che meno ne sapevano, lo garantirono pio e tranquillo e basta, ovvio del resto che religiose così non sappiano molto di un uomo. Risultate presto vane le indagini commissariali, intervennero più energicamente la Questura la Mobile la Scientifica ma vanamente, ma quest’ultima ad esempio non poté stabilire altro che quell’uomo qualunque era stato sparato alla nuca il che era evidente a tutti, ma per il resto restò alla sparuta équipe del Martucci trovare qualcosa di più- sulla vittima almeno, se non sull’assassino. Risultò presto che la sola via percorribile era in porta a porta, suonare ad ogni campanello dei condomini del piccolo quartiere chiedendo se per caso, lei, sa, ha conosciuto, ha sentito e via dicendo; ma tutti rispondendo poco ed anzi niente affatto. Per fortuna il bambino che aveva giocato solitario nei giardinetti di Largo Irpinia, qualcosa almeno lui disse, di aver sentito un flop quando quel signore in piedi passava accanto al signore seduto. Tutto qui. Sennonché proprio il Martucci, fortemente determinato a ‘chiudere in bellezza’ come diceva, ebbe un lampo, capì al volo, fulmineamente diciamo, quel che diceva una lettera arrivata per posta celere che non c’era scritto proprio niente ma, nerastra sul foglio bianco, mostrava, platealmente, una impronta digitale, chiaramente d’un pollice. Come per una illuminazione, senza averci dovuto riflettere neppure un secondo, il commissario scattò in piedi, giù furibondo: “Ci sfotte!” Ma chi? chiesero ovviamente perplessi due suoi agenti che stavano nell’ufficio. “L’assassino!” urlò ormai fuori di sé il Martucci e vedendoli perplessi spiegò la sua – tale sarebbe invero stata, senza quella spiegazione – divinazione: “L’ho letto in un giallo: un omicida trasmette informazioni su di sé alla polizia per mostrare la propria superiorità ‘intellettuale’ diciamo, per prenderla in giro: come un tempo facevano i ragazzini giocando a nascondino: “Cucù- non mi trovi”. Quelli della centrale questurina lo dissero scemo, che meno male che se ne andava in aariviera, mai sentito di omicidi dal cucù, il capo della Mobile in persona telefonò che per piacere se ne stesse zitto, “Zitto e mosca. Piuttosto, veda di sapere qualcosa di più della vittima: che prima di morire qualche rapporto aveva pur avuto, familiare ma anche, va a sapere, con mafia camorra ndrangheta Magliana” Il Martucci ribatté un po’ risentito che quanto c’era da sapere del morto lo aveva ormai scoperto e comunicato, dalle elementari alla precoce orfananza dal matrimonio alla precoce vedovanza, “Ho appurato persino che due anni fa vinse duecento euro pagati pronta cassa dalla tabaccheria di piazza Monte Gaudio. Ma per il resto niente, proprio niente. Secondo me quello l’ha ammazzato semplicemente per fare una bravata, per smania di protagonismo o superiorità”. Ma che gli facesse il piacere, ribatté l’altro, si uccide sempre per interesse, da Caino in poi, non per sport. Non l’avesse mai detto, una decina di giorni dopo il Martucci apparve così acuto così geniale così straordinario di comprensione inventiva che in alto si dissero che forse era il caso di trattenerlo in città che un indovinatore così non lo troverai mai: un’altra persona infatti fu trovata morta ammazzata per un proiettile nella cervicale, persona nel senso di persona proprio qualunque, una donnetta sui cinquanta, domestica ad ore, parenti nessuno, domicilio a fitto bloccato e sovvenzionato per via della accertata indigenza, che entrava ed usciva dal Gemelli per via dell’artrite reumatoide che a volte la paralizzava; e sparata proprio in luogo pubblico che non c’è niente anzi di più pubblico della via, nel caso specifico la traversa della Trionfale dopo le scuole medie e che porta ad una monacale scuola materna, il fattaccio fu scoperto all’alba dell’indomani che doveva essere accaduto la sera prima, che la Scientifica trovò sul corpo, sdraiato sull’asfalto quasi dormisse, moltissimi petali di tiglio caduti dai sovrastanti alberi sfiorenti. “E lei che prevede, commissario?” chiesero i suoi agenti che ora lo adoravano, dopo averlo tanto sfottuto per il suo naso a becco, perché si sentivano illuminati dalla sua aureola di investigatore paranormale: “Che quello tornerà a farsi vivo”. Neanche fosse stata opera sua, qualche giorno dopo gli arrivò una lettera come la precedente (o quasi, formato quadrotto come un tempo, non americano cioè rettangolare come prevalente ormai da decenni. Sul foglio – Horror horror lights lights – avrebbe detto Shakespeare - soltanto una macchia, ma che cos’è infine una macchia?,dite – effettivamente poco e niente le altre, ma questa era di sangue. Umano, come prontamente, appurò la Scientifica, traendone tutti i dati DNA che, naturalmente, non spiegavano niente. “Aveva ragione lei, commissario – concesse telefonicamente lo stesso Questore – Quello proprio ci sfotte. Assolutamente dobbiamo fare qualcosa” ma che cosa, forse perché altrimenti indaffarato – proprio non disse. Ad aggravare il patema d’animo, come egli lo diceva, del commissario fu un proverbio, un modo di dire, una sciocchezza se volete ma che tutti, e lui per primo, ripetendo agitavano foschi presagi: ‘non c’è due senza tre. ‘Quello’ avrebbe colpito ancora; se era un pazzo sciagurato che si divertiva a sfottere accoppando innocenti perché mai si sarebbe fermato avendo constatato, e visto confermato, d’avere l’impunità per la totale incapacità, o impotenza che fosse, degli inquirenti? Il guaio fu che, a ripetere quel modo di dire fu, ad un certo momento, un semplice cittadino (vox populi vox dei, si sarebbe potuto commentare il commento) che una domenica mattina si presentò all’agente di guardia all’ingresso e gli annunciò: ‘Bisogna che io parli col commissario. Ho importanti cose da dirgli” .Ma lei chi è? chiese il piantone, doverosamente e quello: “Sono un semplice cittadino” e mentre l’altro un po’ incerto se bastava tale qualifica a disturbare il capo si avviava comunque alla porta del commissario “…ma esemplare”, aggiungendo. Il semplice ma esemplare cittadino specificò comunque al non esemplare detective di chiamarsi Alonso (“Mio padre amava Don Chisciotte, studiò addirittura lo spagnolo per leggerlo nell’originale che dicono sia molto bello e, così insomma, mi battezzò Alonso anziché che so, Alfonso, che farebbe comunque lo stesso “) Alonso Minuti, ragioniere, al momento disoccupato ma con lavori saltuari anche di recente in imprese di costruzioni: “Quando tirano su un palazzo mi chiamano per le pratiche, quand’è finito mi licenziano. Viviamo in un mondo ingiusto”. Senza che l’interlocutore fosse costretto ad interrogarlo spiegò di interessarsi molto a quei delitti “nel nostro quartiere, che di delitti ne ha avuto pochi anche se famoso il rapimento di Moro previo annichilimento della scorta. E sa, non c’è due senza tre”. Previsione che irritò anche visibilmente il commissario che finalmente si decise a chiedere ma insomma lei che vuole? Quello rispose esattamente, come si può constatare dalla registrazione che il nostro registrava tutto anche quando ordinava pizza e birra per telefono, rispose così: “Sono stato profondamente colpito dalla assoluta gratuità di quei due delitti. Ma si rende conto? Quel povero pensionato! Quella povera domestica. Anche se, per essere realisti, meglio loro di altri, quello poveretto era molto triste per via della solitudine, e lei ormai agli sgoccioli per via dell’artrosi…” “Ma lei come lo sa, dell’artrosi?” scattò l’inquirente, colto da improvviso sospetto, ché di questo dettaglio niente avevano scritto i giornali. “Beh, è stata servizio anche da me, tempo fa, povera donna, devo dire, meglio finire così, inavvertitamente diciamo, che con lunghe sofferenze. Ed anche quel pensionato: in fondo, avergli tolto l’autocoscienza del proprio stato, il dolore di vivere per dirla poeticamente, è stato un atto buono. Per questo io presumo che non c’è due senza tre, che se l’omicida è un benefattore tornerà a farsi vivo…” “A far morti gli altri, vuol dire!” “In certi casi, è la stessa cosa”. “Tutto questo l’aiuto che lei offre alla polizia?” “Solo idee, ipotesi, forse fantasie ,me ne rendo conto. Ma quando la polizia di concreto non trova nulla già questo è un aiuto, non trova?” Il commissario riuscì a metterlo alla porta in modo abbastanza educato. Mai avrebbe immaginato che di lì ad una decina di giorni avrebbe dovuto confrontarsi con lui in ben altra situazione. Quella decina di giorni dopo, tarda mattinata d’una domenica, il telefono sulla sua scrivania squillò, che neanche una bomba: “Hanno ammazzato il commendator Vicini!”, il più ricco tra i pur benestanti abitanti del quartierino, il maggior sovvenzionatore ( e quindi teoricamente il più pio tra i fedeli) della parrocchia di san Francesco, il più invidiato comunque per via della moglie che una così ,che neanche una diva del cinema, pochi se la trovano, una moglie così bella, polposa benché snella, così fascinosa di natura che proprio nessuna poteva sospettarla di lifting, pochi potevano godersela, lui soltanto, malgrado i quaranta anni di più e che anche zoppettava di sinistro inoltre piuttosto rozzo e restato al dialettale appunto malgrado i tanti soldi, insomma se l’era presa per virtù finanziarie,diciamo. (A chi avesse osato esternargli tale sospetto, avrebbe risposto ‘Embè?”). Più ancora che l’omicidio in sé del locupletato commendatore (risiedeva in una villetta di tre piani con ascensore ), circondata da un giardino a rose, europsis ed ibisco che la teneva discretamente separata da quella vicine, parimenti di sua proprietà) , non dunque l’ammazzamento di per sé, pur meritevole di cinque colonne sul ‘Messaggero’, sbalordiva, quanto il fatto che era l’esatta replica, per modalità, di quei due - insoluti e ‘pietosi’ diciamo – che nessun era riuscita a chiarire: una botta alla cervicale. Commissariato, Mobile, Squadra Omicidi, Scientifica ( e pare anche Servizi segreti per via di certe partecipazioni petrolifere) si buttarono nel caso a corpo morto, o meglio con spasmodico attivismo. Tutto subito molto chiaro ma logicamente impossibile: il comm. era stato trovato, da servitù allarmata dal suo inusuale silenzio. nello studio piano terra dove lavorava e godeva la pennichella, locale la cui porta interna lo collegava al vasto ingresso ma lì c’erano domestiche a far pulizia e certo non c’era passato nessuno, e con un’altra porta che dava direttamente sul giardino e per la quale avrebbero potuto transitare squadre di assassini se non fosse stato chiusa. Chiusa a chiave, chiave che fu trovata tranquillamente giacente sulla scrivania stessa del cadavere- escluso quindi che l’avesse usata lui. “Il delitto della porta chiusa” ,dissero ovviamente le cinque colonne del ’Messaggero’ sotto le quali un diffuso articolo avanzava varie ipotesi strampalate saggiamente comunque escludendone una, quella del lucro, che il killer entrato ed uscito dalla porta chiusa non aveva forzato la cassaforte ma neanche asportato il massiccio portacenere in metallo prezioso che troneggiava accanto al morto il quale, checché gli avesse raccomandato il cardiologo, in vita fumava quanto l’intera Turchia. E la vedova, la bella, fiera, ridente, solare ed ora teoricamente inconsolabile, vedova? A Sharm- el – Sheik ,nientemeno là era andata a prendere la tintarella da una settimana ed anzi all’invito telefonico del Questore a rientrare in Patria ‘Per via di un incidente’ aveva sbuffato: ”Ma un incidente proprio grave?”, comunque era tornata, s’era abbigliata in un nero di seta che le stava molto bene e s’era data, nello studiolo suo stranamente Luigi XV, a sbrigare la corrispondenza, a ringraziare questo e quello, ministri tra gli altri, per le sentite condoglianze. Acutamente, il commissario di Belsito, senza neanche parlarne con la Mobile, aveva ordinato ai suoi di rilevare tutti gli indirizzi, in entrata e uscita, ‘Che questo mi sa essere un delitto per interesse, data la vittima, o per passione, data la vedova della vittima”, anche se tra sé e sé dubitava: “Se il delinquente è lo stesso, visto che la modalità risulta proprio una firma, anche questo potrebbe essere per bontà, per beneficenza, anche se è più probabile sia d’un rivale o di un socio in affari”. Già un’ora dopo il Martucci sbalordì: dalle primissime indagini d’un paio di agenti tra i vicini della illustre vittima, risultò che tutti sapevano benissimo che la vittima era ultracornificata e che il patente amante della bella ora vedova si chiamava nientemeno che “Alfonso Minuti”, giovinastro a bassi livelli nella scala sociale ma evidentemente ad altissimi in quella sessuale. “Quello! – urlò, superfluamente, il commissario – quello! Già m’aveva insospettito per quei due primi omicidi, ma ora che ha firmato col colpo alla nuca anche il terzo, lo sparo diretto all’ergastolo”. Che lo fermassero immediatamente, dispose, il che non fu possibile dato che era irreperibile: fu peraltro reperito in poche ore, proprio a Sharm el Sheik dove si era intrattenuto ancor qualche giorno dopo la l’anticipato rientro il Italia della vedova “Per finire un torneo di bridge che sarebbe un peccato, io ed il mio partner lo vinciamo di sicuro”. Rientrato in città, portato da un’Alfa con sirena a Belsito, sorrise al Martucci dalla sedia antistante la scrivania, “Visto come sono abbronzato? Là, fra l’altro, l’atmosfera non è inquinata come a Ostia o anche Fregene”. Ora ti inquino io, disse fra sé l’aspirante Caronte che ovviamente subito gli chiese dove si trovasse il giorno X tra le presumibili ore Y e Z; la risposta fu così ovvia che si diede della stupido per averla sollecitata: “Ma lo sa bene, commissario, ne sono appena tornato. Non solo quel giorno ma anche tutta la settimana prima, come può confermarle la signora”. A domanda risposte che sì, proprio con l’ora più o meno inconsolabile vedova era stato, “Se ammetto si essere il suo ragazzo? Ma ovvio, me ne vanto. Ma scusi, lei ha visto che ora è?” Se pensasse di trarre un qualche vantaggio dalla dipartita del di lei ex consorte “Ma ovvio, no? Adesso possiamo finalmente sposarci. Sapesse come lo desideriamo! Da tanto tempo, sa?” Il Martucci, rendendosi ovviamente conto di non poterlo dunque incriminare per quel delitto, passionale, restava comunque sicuro di poterlo incastrare per i due precedentemente firmati dalla tecnica cervicale dell’esecuzione. La prese alla larga, sarcastico: “Qualche settimana fa lei ha ritenuto opportuno darmi interessanti indicazioni a proposito del delitto della panchina e, che l’omicida poteva essere un fanfarone che l’aveva commesso soltanto per poi sfottere noi servitori dello stato. Bene, qualche giorno dopo ricevetti una missiva con una impronta digitale, quel fanfarone ce l’aveva mandata a titolo di sfottò. Le dispiacerebbe lasciarci rilevare le sue?” “A dire al vero dei servitori dello Stato rispettosi del Codice penale non potrebbero chiedermelo mancando qualsiasi minimo sospetto nei miei confronti. Ma a lei, caro amico, davvero non dico di no. Subito, se vuole. Ha il cuscinetto inchiostrato o qualsiasi altro marchingegno ora in uso?”,Il marchingegno escluse immediatamente che quella sulla missiva anonima e sarcastica fosse dell’Alonso-Alfonso. Che commentò, ridendo: “Ma scusi commissario, pensa che uno sia tanto scemo da firmare un delitto, sia pures commesso a fin di bene?” Il Martucci, col fegato che neanche quello lacerato dagli avvoltoi di Tantalo, pose la seconda, anche se ormai la riteneva inutile, domanda: “E un esame del DNA?”. Quello parve esitare, “MI dispiacerebbe mi scoprissero una qualche brutta malattia” ma poi, sempre per simpatia personale garantì, offri le arterie al prelievo: neanche la minima parentela con la macchia inviata per posta. Il che gli consentì di prendere in giro, sia pure con bonomia, il suo interlocutore: “Ma la mi scusi, come dicono a Firenze, la mi scuti commissario: se lei pensa che, dato che non c’è due senza tre, che dunque la buonuscita del pensionato e della domestica ad ore sia opera dello stesso individuo che ha liberato l’amata mia dal carcere maritale, che le assicuro soffriva molto, non le basta Sharm ed Sceik a dimostrare la mia totale estraneità ai fatti, non solo per questo ma anche per i due precedenti lutti?” Più che convinto che quello fosse il reo, l’uomo della Legge non riusciva a trovare la chiave o un qualche grimaldello per uscire dal labirinto: “Se ha commesso i primi due dovrebbe pur avere in qualche modo commesso il terzo; ma di questo convengo pare innocente, tuttavia lei ha un tale interesse a che la signora sia restava vedova, una vedova molto possidente che… Senta, signor Minuti…” “Mi chiami pure Alfonso” “,Ma senta, lei come la vedrebbe questa storia?” “Mi permette di fumare? Grazie, aiuta a chiarire le idee. Vediamo: che lei sospetti che io abbia fatto fuori il commendatore è comprensibile: sono io che ci guadagno la vedova ed il di lui patrimonio…” “Ma lei era a Sharm el Sheik, lo so…” “Beh questo non prova niente, avrei potuto assoldare il killer, centomila euro ed il problema è risolto, oggi come oggi, data la crisi, si trovano anche a cinquanta. Nel Sud poi, ulteriore sconto. Ed al killer una copia della chiave per entrare dal giardino nella stanza chiusa del delitto potrebbe averla data la gentile signora o magari da una serva…” Per poco il commissario decedette per infarto, madonna mia, a questo non aveva pensato. Ma L’Alonso gli tolse subito la speranza: “Ma il killer non lo troveremo mai, rendo l’idea? Esce dalle tenebre, ammazza, incassa, torna nelle tenebre. Magari duecentomila, diciamo, visto che sono i gioco, tra casseforti, banche, isole esentasse, milioni di euro. Assoldato da chi? Beh, da chiunque, da me ad esempio, ma anche da lei, da Pinco Pallino, va a sapere: del resto anche se scopri il killer come puoi scoprire il mandante, che magari per mettersi al sicuro fa uccidere il killer da un altro killer? Quanto ai due primi omicidi, beh, sembra siano stati commessi per bontà; ma allora non funziona il collegamento col terzo; la cui tecnica, come dice lei, può essere stata adottata per collegarlo in qualche modo, nell’immaginazione ingenua della polizia, agli altri. In ogni caso, proprio perché si possono spiegare soltanto come beneficenza, movente piuttosto insolito in questo mondo diventato ormai egoista e consumista, non potranno essere risolti mai. Senta commissario, vuole un consiglio? Ci metta una pietra sopra. O tre, come le pare”. “Io sono convinto – sparò con insospettata fermezza il commissario- che il colpevole è lei, i primi due per apparente bontà solo per coprire meglio il terzo, sia pure già coperto da alibi e killer. Ha due moventi classici: interesse e passione, soldi e sesso, che questo caratterizza ormai il mondo”. L’Alonso parve riflettere, poi soffiata una nuvoletta di fumo concesse: “Sa, io al posto suo pensarei lo stesso. In fondo, lei è un logico. Purtroppo, sa, la logica funziona bene sul piano scientifico, tecnico, filosofico ma su quello’umano di solito fa cilecca. Senta, commissario, ora devo proprio andare, Mariella mi aspetta. Povero tesoro caro, ha spasimato tanto, per questo momento. Perché non ci viene a trovare, qualche volta, stiamo a due passi, da Belsito lei ci arriva in cinque minuti…” “Nella villa della terza vittima, vero?” “Ovvio. Vittima chissà di chi. Beh, non solo Mariella, ma spasimo anch’io. Tanti anni di attesa…” “Anni?” “Beh, dalla terza liceo. Poi, sai, la dura realtà, a lei è convenuto sposare quel milionario, mentre io mi sono arrabattato come precario…Mondo ingiusto…” “E meno male che c’è ogni tanto qualche benefattore che rimette a posto le cose”, commentò, sarcastico per la prima ed ultima volta della sua vita, il commissario Martucci.

Toutes les droites appartiennent à son auteur Il a été publié sur e-Stories.org par la demande de Enzo Rava.
Publié sur e-Stories.org sur 02.08.2011.

 
 

Commentaires de nos lecteurs (0)


Su opinión

Nos auteurs et e-Stories.org voudraient entendre ton avis! Mais tu dois commenter la nouvelle ou la poème et ne pas insulter nos auteurs personnellement!

Choisissez svp

Contribution antérieure Prochain article

Plus dans cette catégorie "Général" (Nouvelles en italien)

Other works from Enzo Rava

Cet article t'a plu ? Alors regarde aussi les suivants :

Amnesia - Enzo Rava (Général)
Amour fourbe - Linda Lucia Ngatchou (Général)
Pushing It - William Vaudrain (Général)